Mi rivolgo a lettori intelligenti, indipendentemente dal loro credo e dalla croce posta nel segreto della cabina elettorale o nell’esposizione dei processi del voto estero, per cercare di fare un discorso quanto più intelligente (mi sforzo, datemi un po’ di credito) e propositivo. E’ da un po’ di tempo che vinco le scommesse a mani basse, è successo per la Brexit, per Donald Trump e adesso per il nostro referendum. Forse la ragione è che il mio stato di pendolare tra Asia e Sardegna, il mio essermi staccato dalle ideologie per abbracciare una visione più culturale e filosofica della politica, e la mia posizione critica verso tutto quanto sia il degrado (ivi incluse mafiette, massonerie, corruzioni organizzate, finanza, ecc.) del concetto di sistema in genere, tutto questo mi porta una buona dose di tranquillo distacco che mi guida a leggere alcuni individuabili fenomeni senza usare i paraocchi (o, meglio, con limitate lenti deformanti, ecco, più modestamente).
Se scrivere bene richiede innanzitutto il saper leggere bene, così nell’analisi dei complessi movimenti mondiali – verso i quali sarebbe intanto fondamentale un prerequisito di grande umiltà – la lettura dei dati, l’interpretazione accurata dei segnali forti e deboli, l’incrocio di diverse interpretazioni e la potenza, fatemi dire, dei numeri (sì, dei numeri: riabituiamoci a leggere i numeri) sono elementi che non possono essere sottovalutati e soprattutto sacrificati sull’altare di visioni ideologiche (che, se non tenute a bada, diventano immediatamente miopi e arroganti).
E’ da diverso tempo, ad esempio, che scrivo e traccio sconfortanti analisi dell’Europa così com’è, come nei fatti è stata costruita e come nel concreto funziona, e ogni volta cozzo contro quanti parlano dell’Europa sognata, ideale, dell’Europa come dovrebbe essere. Sono due cose diverse. La prima – a meno di un drastico e rapido cambiamento, peraltro non in vista – conduce a un’inevitabile implosione (vedasi miei precedenti articoli) ed è uno dei fattori responsabili del nostro impoverimento, seppur non l’unico; la seconda semplicemente non esiste, è fiction. E’ altresì da qualche tempo che scrivo che questa Europa segue pedissequamente le regole della Germania e della sua economia, e che una serie di personaggi che si sono succeduti alla guida dell’Italia ne erano/ne sono al soldo (si può dire al soldo?). Rileggendo attentamente la storia, come stupirsi del fatto che l’Inghilterra a un certo punto (prima o poi, ma inevitabilmente) si sarebbe sfilata da questo processo germano-centrico? Eppure i sognatori (parlo anche di persone a me vicinissime) danno valore ai propri desideri, alle utopie piuttosto che al pendolo della storia. E la storia non fa questo genere di sconti, spiace. La Brexit era scritta nelle cose (e certamente non porterà a un impoverimento dell’Inghilterra, sono pronto a scommettere nuovamente).
Per arrivare a Donald Trump e alla situazione italiana (che seguono un percorso parzialmente diverso dall’UK), la diagnosi più eloquente è quella fatta dall’economista Branko Milanovic. Costui ha analizzato le dinamiche degli ultimi trenta anni dell’economia globale e gli effetti sull’evoluzione del reddito, arrivando a costruire l’ormai famoso ‘grafico a elefante’ da cui si evince, tra le altre cose, che chi più ha risentito della globalizzazione sono state le classi medie degli stati OCSE, noi dunque, i paesi sviluppati. Queste categorie hanno subito maggiormente le recenti ondate di crisi, sia in termini finanziari (perdita di valore delle proprietà), sia in termini economici (crescita paralizzata, assottigliamento del reddito).
Si è formata insomma una nuova, inaspettata classe di ‘nuovi poveri’ che non son altro che i fuoriusciti, i prodotti residuali della globalizzazione; e ciò a favore dei ‘nuovi ricchi’ dei paesi emergenti. Solo in Italia i nuovi poveri sono circa dieci milioni (in America sono di un ordine di grandezza superiore). L’Istat stima in 17 milioni e 500 mila le persone a rischio povertà o esclusione sociale in Italia. Al Sud quasi 1 su 2 è a rischio povertà/esclusione. Ma ancora più importante è la considerazione (sempre Istat) che negli ultimi anni in Italia la forbice dei redditi si è allargata: il reddito in termini reali cala più per le famiglie appartenenti al 20% più povero, ampliando la distanza dalle famiglie più ricche. Fidarsi solo dei report e dei giornalisti che lavorano con e per le élite, dunque, dimenticando invece la forza disperata di questa massa d’insoddisfatti, di non abbienti, di emarginati, si rivela un fatale errore – che ha sconvolto opinionisti e sondaggisti. Nonostante quanto possano pensare i miei amici liberal della California e dell’East Coast, i miei amici professori e scrittori che ancora dividono sinistra e destra (come se Hillary Clinton fosse poi di sinistra!), e che ancora antepongono i diritti civili alla giustizia sociale, chi riesce a parlare alle fabbriche deserte del paese, alle infrastrutture arcaiche e alle periferie desolate ha maggiore efficacia di chi discetta ai cocktail party di Madonna e Lady Gaga. Questo indipendentemente dalle simpatie e dai giudizi di merito sui singoli rappresentanti – sto parlando d’altro.
Questo dell’ingiustizia sociale è un movimento, o meglio una pressione mondiale, che poco a che fare con le classiche categorie ideologiche (tant’è che è misconosciuto soprattutto da chi si professa di sinistra), e così dirompente da aver cancellato in poco tempo Cameron, Obama, Hollande e, ultimo, Renzi. Al di là dei clamorosi errori di miopia e arroganza di questi leader, è da dire che tutta una generazione politica si è rivelata nuda e impotente, fuori dal tempo. Sto seguendo i vari telegiornali e incontri politici, oggi alla TV, e non c’è nessuno che parla di questa popolazione disagiata e dimenticata, dei 17 milioni di italiani che soffrono, di una maggioranza invisibile che si oppone ai garantiti (queste sono le vere classi in campo oggi). Si parla solo di tattiche politiche, di atteggiamenti del leader, ma non di sostanza, non dello sprofondo Italia. Mentre, invece, le regole dell’Attuale Sistema non funzionano più in presenza di una popolazione emarginata e senza speranze.
Ho letto che anche il flessuoso Obama ha smesso di apparire sexy, cool. Certo! Quando uno ha lavorato una vita, ha cinquant’anni, due figli e un mutuo, e si ritrova disoccupato e senza speranze, forse ha bisogno di fatti, di risposte concrete, non di parole o eleganti sermoni politically correct.
Tornando all’Italia, di fronte a una finanza che spolpa senza regalare nulla (men che meno alle classi non abbienti); a una politica d’inetti e racconta-frottole (basta rileggere la narrazione di Renzi, il racconto che fa di un’Italia che solo lui e la sua élite percepiscono, anche nel momento del commiato – non ha viaggiato anche al Sud col suo elicottero?; a un atteggiamento /legislazione ancora, inspiegabilmente, contro la libera impresa e dunque contro una speranza economica; a un’imposizione fiscale che ormai sa di grassazione; a fronte di tutto ciò, si è fortemente sottovalutato il fenomeno dei nuovi poveri, non si è voluto vederlo e valutarlo (perché contrasta, appunto, con la narrazione ufficiale).
Nella realtà e non nella fiction, invece, le piccole battaglie civili appaiono vizi e lussi di fronte al bilancio familiare che non torna, ai figli disoccupati, alle quotidiane ingiustizie sociali (pensiamo solo alla sanità che sta creando due categorie d’italiani con diversa speranza di vita): è possibile non capirlo? E’ possibile che persone intelligenti chiudano i propri occhi, obnubilati dalle ideologie e dalla propaganda, di fronte alle legittime domande di una larga fetta di popolazione allo stremo? Dov’è finita la nostra solidarietà, il nostro nobile socialismo, il nostro spirito cristiano o, se la religione provoca fastidio in qualcuno, il nostro spirito comunitario? Non basta una disoccupazione giovanile impressionante, mostruosa, a porre legittimi dubbi sul nostro futuro e sulla nostra tenuta?
Faccio ancora una domanda (su cui esiste peraltro una vasta bibliografia): i nostri valori sono non-scalfibili oppure possono cambiare se il nostro paese va in default e noi siamo sul lastrico? Un tempo si diceva che la soglia del cambiamento dei valori era il greggio a 150$ al barile; oggi si parla più direttamente di chiusura del credito. Che cosa facciamo, come reagiamo se il mondo ci chiude il credito? Siamo sicuri di essere lontani da questo scenario? E’ solamente di oggi la notizia che la ricapitalizzazione-monstre del Monte dei Paschi è fallita (facilmente prevedibile anch’essa, comunque – voi oggi investireste su MPS?): dopo il no del mercato, ci penserà lo stato a ricapitalizzare contravvenendo alle regole di Bruxelles (e comunque caricando il debito sulle generazioni future) o arriverà la Troika?
Gli italiani sono conservatori (non è un difetto né un’offesa – i tedeschi o gli svizzeri sono forse progressisti, ad esempio?), vogliono infine stabilità e quiete prospettive. Quale politico le ha propugnate nei fatti, quale strategia le ha fatte intravvedere, quale capacità le ha rese concrete?
Non si era indicata l’Europa per portarci stabilità e prospettive?
Per quarant’anni abbiamo invece coltivato mediocrità, abbiamo perso infiniti treni, arranchiamo tutt’oggi tra gli ultimi della classe, in balia di personaggi vaghi e incapaci, corrotti e in mala fede (è questo il Sistema che la gente percepisce), e ci stupiamo del risultato del referendum? “Una sconfitta così non me l’aspettavo,” dice la Boschi e mi fa venire i brividi di paura – non parlava neanche con i suoi concittadini, la poverella?
In realtà siamo “un paese senza leadership, senza colori” (Ilvo Diamanti), e la gente si sta finalmente indignando perché profondamente toccata nella dignità, nella speranza e nelle tasche.
Per quanto riguarda la Sardegna, beh, mi sembra che i segnali forti e deboli inizino ad allinearsi. Un popolo abituato – purtroppo ma vero – a ingoiare tutto (colonialismo storico, colonialismo industriale, colonialismo culturale, colonialismo politico, razzismo, servitù, marginalizzazione, inquinamento, disoccupazione, ecc.), oggi ha detto finalmente no a uno stato di cose intollerabile. Ha detto no a una classe politica che più improvvisata, servile e dannosa non può configurarsi. I sardi hanno emesso un incredibile urlo (73%) per uscire da questa impasse mortale: Basta con questo Sistema! Questa è la voce chiara delle urne del 4 Dicembre. Mi auguro che questo grido sia raccolto in fretta. Mi auguro che, nel concreto, Pigliaru e la sua giunta si dimettano e diano spazio a chi sappia mettere al centro i sardi e la Sardegna, dimenticando ideologie consunte, utopie e servilismo.
Per quanto a Nuoro, la granitica e non modificabile Nuoro, Nuoro dove non succede mai niente, Nuoro che non si schioda dal suo cattivo carattere, ebbene, attenzione, è la seconda volta in meno di due anni che Nuoro esprime un potente voto di richiesta di cambiamento, un grido che dovrebbe giungere chiaro alle orecchie di chi governa. La popolazione è stanca di discorsi, d’immobilismo e di mosse non coerenti. Cerchiamo, da persone intelligenti, di sentire in fretta questa pressione, se non siamo capaci di comprenderne le profonde istanze.
Ciriaco Offeddu
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