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Clik here to view.Scommetto che non avete notato (era sfuggito anche a me) l’ultimo discorso del presidente della Banca Centrale Europea, il nostro Mario Draghi. Col piglio vagamente bellico che va usando da un paio d’anni, ha detto: “Se decidiamo che l’attuale traiettoria della nostra azione non è sufficiente a raggiungere l’obiettivo (l’inflazione al 2 per cento annuo, ndr), faremo tutto quello che dobbiamo per alzare l’inflazione il più in fretta possibile.” Il discorso e la frase-chiave usata, “We will do what we must,” ricordano molto il discorso di un paio d’anni fa fa, e la frase centrale, mussoliniana direi, “Whatever it takes,” con cui Draghi aveva annunciato il famoso ‘bazooka anti-deflazione’, l’altrettanto conosciuto/sconosciuto Quantitative Easing (QE). Allora tutti i media si erano precipitati a esaltare il coraggio (?) di Draghi e la portata di questo impressionante strumento. Gli articoli e i video si erano sprecati, ricordate?, e la gente si era sentita rassicurata dall’immagine di questo virile bazooka e anche dal suo nome inglese, dimenticando che generalmente l’inglese è usato (in Italia) per infiorettare la mancanza di idee, di strategia e di azioni pratiche (vi rammentate anche della sbandierata Spending Review, per caso?).
Inizio dunque dallo spiegare lo strumento QE per arrivare presto alle cause del suo fallimento – ebbene sì, le parole di Draghi “We will do what we must,” non sono altro che la certificazione che il superdotato bazooka, alla prova dei fatti, ha fatto miseramente cilecca. E il poco risalto dato in questa occasione dai media alle parole di Draghi, l’appannarsi di un personaggio sino a ieri sugli altari, e non ultima l’assoluta piattezza delle borse come reazione alle sue roboanti promesse, tutto questo avrebbe dovuto quantomeno mettere in allarme e invitare a rivedere oggettivamente i risultati e i numeri, approfondendo un’analisi critica.
L’urlo del silenzio è, ancora una volta, indicativo e agghiacciante.
Cos’è il QE, dunque: in pratica la BCE stampa moneta che usa per comprare obbligazioni delle istituzioni finanziarie dei vari paesi. Questo processo per definizione inflattivo (lo stampare moneta) dovrebbe ridurre i tassi d’interesse e conseguentemente servire a incentivare imprese e persone a richiedere finanziamenti e mutui alle banche, dunque a investire e spendere, e infine a rilanciare i consumi e insomma, vivaddio, l’economia reale. Un altro vantaggio non trascurabile è che la moneta, l’Euro, a causa di questa sovra produzione di carta stampata si svaluta rispetto alle divise degli altri paesi, il Dollaro in primis, permettendo dunque un incremento delle esportazioni. Tutto questo teoricamente, ça va sans dire.
Ma prima di procedere col racconto, mi permetto di tirarvi ancora una volta per la giacca invitandovi a ricordare i bei tempi della nostra Lira. Allora, quando periodicamente essa veniva svalutata, si gridava al quasi scandalo. Dico ‘quasi’ perché le svalutazioni erano indispensabili, vitali per le nostre esportazioni, ma alla fine, comunque, scocciava il vedere la nostra moneta così leggera e volatile – segno comunque che l’economia si stava indebolendo, non c’è dubbio. Invece, “con l’Euro mai più svalutazioni indecorose!”
Le voci indignate si sono risentite ultimamente per la Cina, colpevole di aver svalutato la sua moneta di circa il 4% in totale, in due ravvicinate tornate. Quasi un atto di guerra, questa svalutazione. I soloni di turno, foraggiati e per questo aggressivi, hanno dichiarato che la Cina stava iniziando una guerra monetaria e che il mondo si affacciava pericolosamente sull’orlo dell’abisso. Non esagero, rileggetevi gli articoli e ricordatevi i nomi. Sono gli stessi personaggi che hanno fatto finta di non accorgersi che l’Euro, nel frattempo, era stato svalutato più del 20% rispetto al Dollaro! Di questo fatto abnorme, per certi versi incredibile, non è rimasta traccia. Certo, come espatriati ci siamo accorti con dolore che le nostre retribuzioni in Euro hanno perso in Asia un sostanziale valore d’acquisto, ma certamente Draghi non è stato equiparato a un qualsiasi Amato di turno, certamente la stampa non ha gridato allo scandalo o il governo ha fatto qualche riflessione pubblica. E certamente nessuno ha dichiarato che l’Europa, così civile e priva di colpe storiche, povera!, aveva iniziato una guerra monetaria.
Dicevo del Quantitative Easing. L’immissione sul mercato di moneta per una cifra mensile, mensile!, che va dai 13 miliardi di Euro ai 60 miliardi di Euro non sta purtroppo portando risultati. Oh, certo Draghi rileva che il valore di immobili e titoli azionari è stato spinto in alto, creando un “effetto ricchezza” (bellissimo eufemismo, riflettiamoci) che nel futuro dovrebbe spingere i consumi. Dice che i costi di finanziamento si sono abbassati. Dice che le banche stanno imparando a vigliare di più … Il problema dunque non è il QE in quanto tale – secondo lui – ma la sua portata. Occorre un super bazooka, ecco. Occorre potenziare ancora il Quantitative Easing, estenderlo (sino a quando ci saranno bond disponibili, poi anch’essi giocoforza finiranno…), allargare allora la gamma, prolungare la scadenza, ecc. E se non dovesse bastare, allora ancora un extra-super bazooka a fotoni, “Whatever it takes.”
A niente valgono le considerazioni, ormai estese, che indicano che il QE ha aiutato sinora solo i ricchi, i possessori di asset finanziari e di grandi patrimoni immobiliari; sta permettendo di tenere in vita imprese decotte invece che fare da incubatore per una nuova economia; sta incentivando i governi a rimandare le riforme del mercato del lavoro; permette alle banche di tenere immobilizzati i capitali a Francoforte invece che supportare l’economia reale; sta favorendo il debito; sta finendo per allargare paurosamente la base di disoccupazione e delle famiglie in difficoltà, ecc. ecc.
Anche se non vado molto d’accordo con The Economist, abbastanza di parte, il giornale inglese dice tra l’altro:
Studies suggest that it did raise economic activity a bit. But some worry that the flood of cash has encouraged reckless financial behaviour and directed a firehose of money to emerging economies that cannot manage the cash. Others fear that when central banks sell the assets they have accumulated, interest rates will soar, choking off the recovery. Last spring, when the Fed first mooted the idea of tapering, interest rates around the world jumped and markets wobbled. Still others doubt that central banks have the capacity to keep inflation in check if the money they have created begins circulating more rapidly. Central bankers have been more cautious in using QE than they would have been in cutting interest rates, which could partly explain some countries’ slow recoveries. At least a few central banks are now experimenting with stimulus alternatives, such as promises to keep overnight interest-rates low for a very long time, the better to scale back their dependence on QE.
Quello che fa specie è che ormai le uniche voci udibili siano quelle della finanza e non dell’economia, seppure lo stesso vicedirettore della Banca d’Italia, Fabio Pennetta, dichiari candidamente che i meccanismi di trasmissione dalla finanza all’economia non siano poi prevedibili! Aspettavamo lei, dottor Pennetta, per prenderne coscienza, grazie.
Quello che fa specie è che gli gnomi della finanza, primo tra tutti Draghi, abbiano dimenticato le lezioni basilari di Michael Porter: l’economia viene prima della finanza (ovvero: i flussi vanno dall’economia alla finanza e non viceversa), e se non esiste una sana e competitiva economia, gli escamotage finanziari diventano poi fini a se stessi (o funzionali solo a chi vive della finanza, ovvio), ma da soli non possono creare ricchezza; che la ricchezza si forma dalla ‘gestione caratteristica’ e si difende tutelando quest’ultima; che gli stati non devono fare finanza, ma assicurare le condizioni basilari di esistenza e sviluppo di una sana economia (infrastrutture e servizi efficienti, basse tassazioni, lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione, mercato del lavoro aperto, ecc.).
Quello che fa specie, infine, è che Draghi, pur essendone stato allievo, abbia completamente dimenticato le lezioni di Federico Caffè. “Nessun male sociale può superare la frustrazione e la disgregazione che la disoccupazione arreca alle collettività umane”, “Al posto degli uomini abbiamo sostituito i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l’assillo dei riequilibri contabili”, “La sovrastruttura finanziario-borsistica con le caratteristiche che presenta nei paesi capitalisticamente avanzati favorisca non già il vigore competitivo ma un gioco spregiudicato di tipo predatorio, che opera sistematicamente a danno di categorie innumerevoli e sprovvedute di risparmiatori in un quadro istituzionale che, di fatto, consente e legittima la ricorrente decurtazione o il pratico spossessamento dei loro peculi.”
Avevo scritto in un precedente articolo, e ribadisco:
“I’m especially fond of his Lezioni di politica economica (Lessons of economic policy) and I can’t help but identify with his vision. Especially today, when the consequences of a Europe based only on finance and without roots or values are extremely clear in terms of unemployment, poverty and debts, decline and the human pain of those who have been left behind.
Our values are different.
Our roots and values are different and from this “third society” – the category of those who are suffering, at least 30% of the entire population – we have to begin again, according to the splendid, human and religious-like vision of Federico Caffè.”
Da 50 anni fa, abbiamo sistematicamente mortificato la scuola, l’educazione e la cultura, creando danni generazionali incalcolabili; per decenni e decenni abbiamo penalizzato e colpevolizzato l’impresa, l’unico pilastro capace di assicurare il flusso economico di ‘gestione caratteristica’ che crea ricchezza e sviluppo; negli ultimi dieci anni abbiamo distrutto più di un terzo del nostro tessuto industriale e cancellato la grande industria, abbiamo rinunciato a interi settori industriali, anche strategici, e venduto migliaia di aziende, un flusso che continua ininterrotto sottraendo know-how, capacità e prospettive future.
A fronte di questo brutale impoverimento strutturale – voluto e sistematico – che sta via via allargando la mostruosa piattaforma della povertà e della semi-povertà (ricordiamo che un italiano su quattro oggi è povero, precisamente il 28,3% secondo l’ultima rilevazione Istat!), dell’analfabetismo e della emigrazione, noi abbiamo ceduto le armi e la dignità alla finanza e ci rivolgiamo a Draghi come fosse San Gennaro!
Peccato che a fronte di un tessuto industriale (in senso lato, comprensivo anche del turismo, dell’agricoltura, e dei servizi) sfilacciato, oppresso da una tassazione mostruosa, limitato da un mercato del lavoro ingessato, sottomesso a una pubblica amministrazione da terzo mondo e a una corruzione invece da primi della classe, l’erogazione di un maggiore credito rispetto al criminale credit crunch del 2008-2012 purtroppo non faccia più alcun effetto.
Se manca il corpo, come ci si può risollevare con un po’ di liquido? In queste condizioni, la trasmissione dalla finanza all’economia reale non può essere che minimale, un rigagnolo marginale. Non importa. Noi abbiamo l’Europa, alleluia. E alziamo la testa solo per pregare Draghi: dacci ogni mese il tuo bazooka, please, affinché possa alimentare le nostre istituzioni finanziarie ed esse possano essere arricchite e tutelate, costi quel che costi alla popolazione – si veda il salvataggio ultimo di quattro banche ben note per la loro capacità di corruzione diffusa, e affondate, come altre prima di loro e altre in pipeline, dalla corruzione stessa!
Del rimanente della società, di quelli che sono stati spolpati come tordi, di quelli che soffrono e di quelli che sono costretti a scappare, in nome della finanza non ce ne può fregare di meno.
Ciriaco Offeddu
ciriacoffeddu.com