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Sardegna alla deriva e senza bussola, by Massimo Crivelli

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massimo crivelli
Un interessante e profondo contributo da parte di Massimo Crivelli, ex Vice Direttore dell’Unione Sarda e attuale columnist: “In questi giorni di febbraio in cui deboli piogge ravvivano la speranza di una primavera meno siccitosa, la Sardegna si trova ad affrontare problemi di portata ben più grave dei meri capricci meteorologici. Se, con un salto temporale, il famoso marziano di Flaiano sbarcasse nell’Isola anziché a Roma e la visitasse (io credo assolutamente ignorato dalla gente) rimarrebbe abbagliato dalla struggente bellezza di molti suoi paesaggi ma certamente sconcertato per lo stato in cui noi sardi siamo ridotti.

Fuor di metafora, a volte mi chiedo fino a che punto ci rendiamo conto che stiamo navigando in acque tempestose, alla deriva, e senza una bussola. Solo gli osservatori più attenti sanno che non c’è un solo indicatore macroeconomico che legittimi qualche speranza di ripresa. Anche i più distratti, tuttavia, non possono ignorare i pessimi segnali che via via ci arrivano, snocciolati dai media ma puntualmente minimizzati da una classe politica regionale che sta drammaticamente evidenziando la sua pochezza. Gli ultimi dati, quelli sullo spopolamento della Sardegna, sono in fondo il segreto di Pulcinella. La conferma di quanto già si sapeva, cioè che è in atto ormai da anni una terza ondata emigratoria dopo quella verso le miniere franco-belghe-tedesche degli anni ’50 e quella verso le fabbriche del nord Italia negli anni ’70. Oggi i nostri ragazzi fuggono, per disperazione e assoluta sfiducia nel nostro sistema, verso Paesi più evoluti, più disponibili ad offrire qualche chance lavorativa che non sia l’umiliante sfruttamento in qualche call center. La differenza è che, a differenza di quanto accadeva ai  padri e nonni, quei giovani che ce la fanno difficilmente si fanno cogliere dalla malia del ritorno, il loro come back è più che altro legato a brevi vacanze o visite ai familiari rimasti.

La verità è che oggi né l’amore per la propria terra né il sentimento identitario bastano a giustificare una scommessa troppo azzardata, quella di provare a restare. Come biasimarli? Cosa offre la Sardegna a chi vuole trovare un lavoro adeguato ai sacrifici sostenuti in lunghi anni di studi? Quali supporti le nostre amministrazioni concedono a chi tenta di fare imprenditoria? Quasi nulla.

Per quanto sia crudelmente paradossale un’isola magnifica, al quale il Signore ha regalato bellezze incomparabili, posizionata al centro del Mediterraneo (la culla della cultura) non riesce non dico a rendere ricchi, ma perlomeno a sostenere decentemente quel milione e mezzo di persone che la abitano. Seduti su una pentola d’oro ormai bucherellata disperdiamo i possibili tesori accontentandoci delle briciole che uno Stato assistenzialista e sempre più lontano concede ai burocrati più diligenti e ottusi. Così facendo continuiamo a svendere pezzi di territorio e, ora, anche tratti di mare come qualcuno ha avuto il coraggio di denunciare. Passiamo da una classe dirigente all’altra senza una vera crescita intellettuale, economica, civile e politica collettiva. Il turismo, la maggiore risorsa, continua a essere un piccolo affare limitato – se va bene – a due,tre mesi all’anno, senza autentici progetti di allungamento delle stagioni, integrazione delle strutture, offerte competitive e al passo con l’era della globalizzazione. Continuiamo, senza potercelo permettere, a considerare il turista come un cliente a malapena sopportato, lontani da un’autentica cultura dell’accoglienza. Tutto ciò inserito in un quadro infrastrutturale drammatico dove persino i trasporti tornano indietro di trent’anni come la vicenda Ryanair sta dimostrando.

Il discorso andrebbe ampliato alla morte delle aziende e alla crisi del commercio, a quanto sia poco sfruttato il settore agroalimentare nonostante le piccole punte di eccellenza che alcuni valorosi e piccoli imprenditori riescono ad offrire. Ma si rischia, oltre alla depressione, di dilungarsi troppo. Ciò che è importante focalizzare è la totale assenza non tanto di strategie adeguate ma bensì di una visione complessiva di ciò che, poniamo, vorremmo che fosse la Sardegna da qui a dieci anni.

Tentare la riscossa sarà un’impresa titanica anche perché la netta impressione è che i dibattiti più interessanti restano confinati nel piccolo recinto di alcune lobby politico-culturali o, peggio, ridotti a inutili ribalte fra addetti ai lavori che se la cantano e suonano da soli senza autentiche aperture verso l’esterno. Il mio amico ingegner Ciriaco Offeddu, un visionario giramondo che per amore della Sardegna si ostina a gettare ponti che troppi finiscono per ignorare, sostiene – e non ha torto – che la cultura è un grimaldello capace di aprire tutte le porte. Purtroppo (per lui e per noi tutti) dobbiamo chiederci con assoluta franchezza quale sia il reale livello di cultura della nostra classe dirigente una volta sfrondate dal folclorismo deteriore e dalle smargiassate politiche che puntualmente si sgonfiano quando il Berlusconi o il Renzi di turno richiamano all’ordine. E aggiungerei che la cultura apre tutte le porte a condizione di volerle lasciare perlomeno socchiuse. Non mi sembra che la Sardegna voglia davvero aprirsi al mondo, chiusa com’è in un falso e annacquato sardismo che non tutela radici e tesori (pensate solamente all’esempio dei giganti di Monti Prama) e non capisce che la potenza identitaria è invece amplificata dall’incontro-confronto dell’unversalità di certi temi.

Eppure, noi tutti che abbiamo letto e amato Schopenhauer non possiano abbandonarci al pessimismo. Lo dobbiamo, se non altro, ai sardi che verranno.”

Massimo Crivelli

 

 


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