Massimo Pittau, professore ordinario nella facolta’ di Lettere e gia’ preside di Magistero dell’Universita’ di Sassari, linguista, filologo, storico e scrittore, e’ stato allievo di Giacomo Devoto e Bruno Migliorini nell’Ateneo di Firenze. Ha scritto oltre 50 libri e ha pubblicato 400 studi su linguistica, filologia e filosofia del linguaggio. Per le sue pubblicazioni e le sue ricerche linguistiche ha ottenuto “Il Premio della Cultura” dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ha collaborato a lungo con Max Leopold Wagner, maestro della linguistica sarda, e ha completato gli studi del ricercatore tedesco col suo “Nuovo Vocabolario della Lingua Sarda – Fraseologia e Etmologia” (2014), che comprende circa 70mila lemmi. Massimo Pittau e’ anche uno dei piu’ prestigiosi etruscologi italiani. Nell’opera “L’espansione dei sardi nuragici”, grazie ai suoi ultimi studi, porta avanti una teoria che spezza gli stereotipi del passato: i sardi nuragici non furono colonizzati, ma “colonizzatori”, esportando cultura e tradizioni nei paesi del Mediterraneo occidentale.
Graditissimo articolo del professor Massimo Pittau per Beyond Thirty-Nine.
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Serdiana (villaggio del Campidano di Cagliari).- Il nome di questo villaggio è carico di importanti notazioni storiche relative alla Sardegna antica, anzi antichissima. Intanto è evidente che esso è corradicale con gli altri toponimi Sàrdara, Sardègna, Sardòri (2: Teulada, Villacidro); la prima vocale di Serdiana è differente da quella degli altri toponimi citati, perché è finita col trovarsi in posizione pretonica. D’altronde in un documento del 1655 il toponimo viene citato proprio come Sardiana (Archivio Sardo Movimento Operaio, 14/16, 1981, 299).
Ciò premesso segnalo che il nostro toponimo corrisponde in maniera sorprendente al nome della Sardianḗ, regione che traeva la sua denominazione dalla città di Sárdeis, capitale della Lidia, nell’Asia Minore, terra di origine dei Sardi o Sardiani, oltreché degli Etruschi (cfr. voce Sardigna). Come succedeva per Sardara, anche la denominazione di Sardiana/Serdiana serviva a indicare la diversità dei nuovi arrivati rispetto ai gruppi umani precedenti che vivevano ancora in quelle zone.
Ma c’è molto di più: premesso che la grande dea Artemide, conosciuta in epoca antica in tutto il mondo mediterraneo, era quasi certamente originaria della Lidia, come dimostra anche il fatto che essa era venerata sia ad Efeso (Artemide Efesia) sia a Sárdeis (Artemide Sardiana), è molto probabile che i Sardiani o Protosardi, subito dopo il loro arrivo dalla Lidia in Sardegna, abbiano fondato un centro abitato nell’odierno Assémini (in antico anche Arsemine) in onore di Artemide Efesia e un altro centro denominato Serdiana in onore di Artemide Sardiana (OPSE §§ 24,28). È pertanto abbastanza evidente e certo che Serdiana sia uno dei primi centri fondati dai Sardiani dopo il loro arrivo in Sardegna ed è probabile che essi lo abbiano chiamato in tale modo in onore della grande dea Artemide Sardiana.
Non sono riuscito a rintracciare una attestazione del villaggio di Serdiana precedente a quella che ne dà G. F. Fara, Chorographia Sardiniae, 216.20 (anni 1580-1589) come oppidum Serdianae. Ma questo silenzio sul nostro villaggio si spiega non col fatto che esso fosse andato distrutto, bensì col fatto che, vicinissimo al capoluogo della diocesi di Dolia o Dolianova, la sua storia religiosa e amministrativa era confusa con quella di Dolianova appunto.
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La chiesa dedicata a Santa Maria di Sibiola è ubicata su una leggera altura, a circa 3 chilometri dal centro abitato di Serdiana. In età medioevale la “villa” di Sibiola, documentata dal 1215 alla fine del XVI secolo, apparteneva alla curatoria di Dolianova. La più antica citazione della chiesa si trova nell’inventario dei beni posseduti in Sardegna dai monaci Vittorini di Marsiglia, documento del 1338.
La chiesa è a due navate disuguali, con due absidi terminali. Le due navate sono divise da quattro archi su bassi pilastri forniti di capitello. Esse sono coperte con una volta a botte segnata da sottoarchi. Questi consentono di datare la chiesa, perché sono presenti anche nella chiesa di San Saturnino di Cagliari (1089-1119), che fu un modello per diverse chiese sarde edificate dalle maestranze al servizio dei Vittorini.
La muratura interna è realizzata in cantoni di arenaria; quella esterna presenta cantonetti subsquadrati nei fianchi e nelle absidi e filari di conci squadrati nella facciata, in cui si inseriscono conci di vario colore e alloggi per perduti bacini ceramici. Al centro della facciata è sistemato un concio con incavi per tarsie, rifatte durante i restauri, che presenta un cerchio da cui partono dei raggi.
La facciata quadrata ha perduto gli spioventi e il campanile a vela, di cui restano i conci della base. Al campanile si accedeva con una caratteristica scaletta esterna costruita sul fianco sinistro dell’edificio. Nel prospetto, sotto la cornice, c’è una serie di nove archetti pensili a tutto sesto poggianti su peduncoli decorati. Questo motivo ad archetti pensili continua anche lungo i fianchi.
All’interno della chiesa si trovava il retablo del Giudizio Universale, opera del XV secolo attribuita al “Maestro di Olzai” (artista identificabile probabilmente con Antonio o Lorenzo Cavaro). Le due tavole superstiti del retablo sono adesso custodite nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari.
Durante la prima diffusione del cristianesimo nel mondo del Mediterraneo, dopo l’editto di Milano dell’imperatore Costantino che concedeva libertà di culto ai cristiani (313 d. C.) e dopo l’editto di Tessalonica di Teodosio che dichiarava il cristianesimo religione dello Stato (380 d. C.), avvenne un grosso fenomeno di sincretismo religioso, nel senso che il culto degli dèi pagani fu sostituito o integrato dal culto di altrettanti santi cristiani. Soprattutto il culto delle varie divinità femminili pagane fu sostituito o integrato dal culto di Santa Maria, anche denominata in vario e differente modo.
Ebbene io sono del parere che il culto di “Santa Maria di Sibiola” abbia sostituito il culto della pagana “Sibilla di Sardi”, detta anche Efesia.
Le Sibille erano localizzate soprattutto in Asia Minore, quelle di Eritre, di Marpesso, di Samo, di Ancira, quelle Troiana, Ellespontica, Frigia, Rodia. Il loro culto si diffuse anche in Italia, quasi certamente importato dagli Etruschi, quello della Sibilla di Cuma o Cumana, conosciuta ed ascoltata anche a Roma fin dall’epoca di Tarquinio Prisco. Le Sibille quasi sempre profetizzavano in nome di varie divinità.
Sul piano linguistico non siamo in grado di dire nulla, dato che il nome Sibylla fino ad ora risulta privo di etimologia. L’unica cosa che è possibile dire è che probabilmente il nome Sibiola attribuito alla titolare cristiana della odierna chiesetta significhi «Sibilla Minore», la quale probabilmente profetizzava in nome della già vista dea Artemide, titolare del villaggio di Serdiana.
Professor Massimo Pittau